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Il mattino del 5 maggio 1896 partii da Juan Fernandez, dopo aver goduto molti privilegi, ma nessuno cosi gradito come l’avventura di visitare la casa e la caverna stessa di Robinson Crusoe. Dall’isola lo Spray puntò verso nord, passando l’isola di San Felix prima di raggiungere gli alisei che sembravano tardare ad apparire nella loro zona.
Se gli alisei erano in ritardo, quando arrivarono, arrivarono sul serio, e recuperarono il tempo perduto, e lo Spray, qualche volta sotto una mano o due di terzaroli, volò per un po’ di giorni davanti a una burrasca, con un grande baffo candido sotto prora, verso l’ovest e verso le Marchesi che avvistai dopo quarantatré giorni di navigazione, e che non mi fermai a visitare. Ero sempre occupato durante quei giorni, ma non al timone; nessuno in piedi o seduto, potrebbe stare sempre al timone, in un viaggio intorno al mondo. Facevo di meglio: me ne stavo a leggere i miei libri, a rattoppare i miei vestiti, oppure cucinavo, e mangiavo in santa pace. Mi ero già accorto che non era bello essere solo, e cosi cercai compagnia in quello che mi circondava, qualche volta nell’universo, e a volte nel mio insignificante io; ma lasciando perdere tutto il resto i libri erano sempre i miei amici. Niente avrebbe potuto essere più facile o più riposante del mio viaggio nei venti alisei.
Navigai a vento largo un giorno dopo l’altro, segnando sulla carta con considerevole precisione la posizione della mia nave; ma questo era fatto più per intuizione, che non con laboriosi calcoli.
Per un mese intero mantenemmo la stessa rotta, senza neanche la chiesuola della bussola illuminata. Ogni notte vedevo la Croce del Sud al traverso, il sole sorgeva ogni mattina di poppa; ogni sera tramontava di prora. Non mi servivano altre bussole, perché queste due erano esatte. Se dopo molti giorni di navigazione dubitavo del mio punto stimato, lo controllavo leggendo il grande orologio del cielo fatto dal Grande Architetto, e risultava giusto.
Non si può negare che c’era anche il lato comico, in quella strana vita. A volte mi svegliavo col sole che splendeva già in cabina. Udivo l’acqua scorrere di là dalla sottile parete che mi divideva dalle profondità, e dicevo: – Cosa sta succedendo? -. Ma tutto andava bene; era la mia nave che continuava a navigare in rotta come nessuna altra nave al mondo aveva mai navigato. L’acqua che scrosciava lungo i suoi fianchi mi diceva che stava correndo alla sua massima velocità. Sapevo che al timone non c’era mano d’uomo, sapevo che tutti a prora stavano bene, e che non c’erano ammutinamenti.
Era interessante studiare la meteorologia oceanica in quei venti alisei. Osservai che ogni sette giorni circa il vento rinfrescava e allargava di parecchie quarte rispetto al polo; cioè, soffiava da sud-sud-est invece che est-sud-est, mentre nello stesso tempo un grosso mare lungo arrivava da sud-ovest. Tutto questo indicava che delle burrasche stavano soffiando nei controalisei. Poi il vento girava ancora un po’ a mano a mano che diminuiva, finché si stabiliva dal suo settore normale, da est-sud-est. Questo è, più o meno, lo stato costante degli alisei durante l’inverno alla latitudine di 12° sud, dove io “navigai per longitudine” durante settimane intere. Il sole, lo sappiamo tutti, è il creatore dei venti alisei e del sistema dei venti sulla terra, ma la meteorologia oceanica, penso, è la più interessante di tutte. Da Juan Fernandez alle Marchesi sperimentai sei cambiamenti di queste grandi palpitazioni dei venti di mare e del mare stesso, effetti di lontane tempeste. Conoscere le leggi che governano i venti, e sapere di conoscerle, vi darà un senso di sicurezza nel vostro viaggio intorno al mondo; altrimenti tremerete alla comparsa di ogni nuvola. Quello che è vero per i venti alisei, lo è a maggior ragione per la zona dei venti variabili, dove i mutamenti arrivano più spesso agli estremi.
Attraversare l’Oceano Pacifico, anche nelle più favorevoli circostanze, vi porta per molti giorni a contatto della natura, e si capisce veramente la vastità del mare. Lentamente ma sicuramente il segno che marcava la rotta della mia piccola nave sulla carta si stendeva sull’oceano e lo attraversava, a mano a mano che, alla sua massima velocità, eppure lentamente, essa solcava con la sua chiglia le onde che la portavano. Il quarantaquattresimo giorno dalla partenza – un lungo periodo in mare quando si è soli – con il cielo meravigliosamente limpido e la luna in “opposizione” col sole, tirai fuori il mio sestante per osservare. Dai risultati di tre osservazioni, dopo lunga lotta con le tavole lunari, trovai che la longitudine calcolata, era entro cinque miglia da quella stimata. Questo era fantastico; tuttavia entrambe potevano essere errate, ma in qualche modo ero sicuro che entrambe erano esatte, e che tra qualche ora avrei avvistato terra; e cosi accadde, perché avvistai l’isola di Nukahiva, la più meridionale delle Marchesi, alta e maestosa. La longitudine, verificata quando l’isola fu al traverso, cadeva tra le due precedenti, una cosa straordinaria. Tutti i navigatori vi diranno che una nave può perdere o guadagnare nelle ventiquattr’ore più di cinque miglia sul suo percorso calcolato, e inoltre in tema di distanze lunari, anche il lavoro di esperti lunofili viene considerato buono quando l’errore medio è inferiore alle otto miglia.
Spero sia ben chiaro che non voglio dimostrare la mia bravura, o di aver sgobbato a far calcoli di stima. Penso di aver già dichiarato che tenevo conto della mia longitudine soprattutto per intuizione.
Rimorchiavo sempre un solcometro ad elica, ma tante sono le correzioni da apportare per la corrente e la deriva (che il solcometro non mostra affatto) che, dopotutto, il risultato è solo una approssimazione, che dev’essere corretta dalla propria esperienza fatta in mille viaggi; e anche cosi il comandante di una nave, se è saggio, reclama a gran voce lo scandaglio e la vedetta.
La mia esperienza in astronomia nautica fatta dalla coperta dello Spray fu unica, tanto da sentirmi giustificato nel raccontarla brevemente.
La prima serie di altezze, delle quali ho appena parlato, ci metteva molte centinaia di miglia a ovest del punto stimato. Sapevo che doveva esserci un errore. Dopo circa un’ora eseguii un’altra serie di osservazioni con la più grande attenzione: il risultato medio fu all’incirca uguale a quello della prima serie. Mi chiesi come mai con tutta la mia decantata abilità non ero riuscito a fare di meglio. Poi andai in cerca di una differenza, di un errore nelle tavole, e lo trovai. Trovai che c’era un errore in una colonna di numeri dalla quale avevo preso un importante logaritmo. Fu una cosa che potevo dimostrare fuor di ogni dubbio, e causava la differenza della quale ho già detto. Corrette le tavole, proseguii con fiducia inalterata, e con la mia sveglia di latta immersa in un sonno profondo. Naturalmente il risultato di queste osservazioni solleticò la mia vanità, perché sapevo che era già qualcosa – dal ponte di una grande nave e con due assistenti – sviluppare delle osservazioni lunari cosi-vicine alla realtà. In qualità di uno dei più umili marinai americani fui contento di questo piccolo successo ottenuto da solo sul mio sloop, per quanto casuale possa essere stato.
Mi sentivo ora en rapport con quanto mi circondava, trasportato da un grande fiume nel quale sentivo la spinta sostenitrice della mano di Colui che ha creato tutti i mondi. Capivo concretamente la verità matematica del loro movimento, cosi ben conosciuta dagli astronomi che compilano le tavole delle posizioni degli astri per tutti gli anni, i giorni e i minuti di un giorno, con tale precisione che colui che si trova in mare anche cinque anni dopo, può col loro aiuto trovare l’ora media di ogni meridiano della terra.
Trovare l’ora locale è semplice. La differenza tra l’ora locale e l’ora media è la longitudine espressa in tempo, quattro minuti rappresentando, come è noto, un grado di longitudine. Questo, in breve, è il principio per calcolare la longitudine indipendentemente dai cronometri. Il lavoro dell’osservatore lunare, benché raramente praticato in questa nostra epoca di cronometri, è molto bello ed edificante, e nel regno della navigazione non c’è nulla che rivolga maggiormente il cuore verso l’alto in un atto d’adorazione.
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da Solo intorno al mondo di Joshua Slocum
Traduzione di Alex Carozzo – Edizioni Mursia