Le avventure degli inizi.
L’uomo ha sempre navigato, per commerci, guerre, necessità, spirito di avventura. Tutti i popoli costieri della terra lo hanno fatto.
I popoli del pacifico, i popoli della polinesia, ad esempio, sono stati dei navigatori straordinari. Attraverso i loro viaggi hanno colonizzato tutte le terre emrse in un’area di oceano vasta quanto l’intero oceano pacifico, sin dal 2500 a.c., senza utilizzo del sestante, né tantomeno di bussole e carte nautiche. Seguendo soltanto i propri sensi e rispettando una lunga tradizione marinara tramandata da padre in figlio e fondata sull’esperienza e l’osservazione.
Quando nel 1769 il capitano James Cook accolse Tupaia a bordo dell’Endeavour, un polinesiano navigatore originario di Tahiti, rimase sbalordito di come questi mettesse prua verso una qualsiasi delle oltre 70 isole che facevano parte dell’arcipelago di riferimento di quella zona e di come fosse in grado di raggiungere con precisione (e poi di ritornare indietro!) isole lontane centinaia di miglia, senza alcun ausilio, se non l’osservazione degli elementi a disposizione: cielo e acqua. Faceva parte di quel genere di uomini in grado di riconoscere i cieli notturni e confrontare la mappa stellare con la loro mappa mentale dell’area geografica. Uomini che facevano quel che noi avremmo fatto molte centinaia di anni dopo, con la differenza che essi lo facevano senza strumenti se non quelli dati all’uomo dalla natura: i sensi e la memoria dell’esperienza diretta e della tradizione orale.
L’esplorazioni d’alto mare sono avvenute anche in mediterraneo. Fenici prima ed egiziani successivamente, si sono avventurati per tutto il mediterraneo da oriente a occidente e oltre le colonne d’ercole navigando per migliaia di miglia in viaggi che duravano anni, esplorando le coste atlantiche dell’Europa atlantica e dell’Africa. Probabilmente i popoli del mediterraneo doppiarono il Capo di Buona Speranza 2000 anni prima di Bartolomeo Diaz e Vasco de Gama.
Poi nel medioevo, prima dell’epoca delle grandi esplorazioni, i popoli del nord europa, dall’Irlanda alla penisola scandinava, “i vichinghi”, esplorarono e colonizzarono con le loro piccole e leggere imbarcazioni le isole del nord atlantico, le isole poste al nord della Scozia . restano nella storia le imprese dei monaci naviganti, le imprese memorabili di San Brendano, che colonizzarono le sperdute isole poste al nord della Gran Bretagna, e più a nord ancora l’Islanda, la Groenlandia. Giunsero infine in nord America, attorno all’anno 1000 d.c., ma questo non ha lasciato traccia nei libri di storia: questi scopritori non avevano capito di trovarsi su terre nuove e pensavano di aver messo piede sulle estreme propaggini delle terre europee.
Ciò consentì a Cristoforo Colombo di “riscoprirla” nel 1492, anche se neanche lui in effetti capì bene dove si trovava! E l’America attese ancora per essere riscoperta un’altra volta.
Il contributo della tecnica
Così, tra successi (pochi) e naufragi (molti) nel corso della storia la marineria è andata progredendo, come tutte le attività umane, alternandosi tra momenti di maggiore e minor sviluppo. Ci sono due fili conduttori che si intrecciano di continuo influenzandosi a vicenda: il progresso della costruzione navale, per rendere l’imbarcazione più marina e sicura, e il progresso delle tecniche e della conoscenza necessarie alla stima del punto nave. Quando uno di questi due aspetti ha progredito anche l’altro lo ha seguito, creando le premesse per un nuovo ciclo di sviluppo tecnico. Se è vero che il mare, che presenta all’osservatore una superficie estesa, omogenea e uniforme, allora l’unico punto di riferimento in mare aperto è il suo specchio, il cielo… <<e così, forzati da questo bisogno di navigare, gli uomini facendo di necessità virtù, si sono rivolti al cielo>>.
<<per gli antichi, specialmente per quanti vivevano in zone sotto chiari cieli, lo spettacolo del cielo che brilla di stelle avrà costituito la vista più emozionante della loro vita. Non stupisce allora il fatto che siano nate storie di ogni genere, nelle quali quei pezzi di gioielleria celeste avevano un ruolo da “star”>>.
I marinai, hanno quindi approfittato delle nozioni accumulate in secoli e secoli di osservazioni, cercando di trarre dalle stelle i riferimenti per identificare il punto nave. La necessità di imporre il predominio sui mari, inoltre, spinge i governi e regnanti ad allocare importanti menti e risorse alla soluzione dei problemi della navigazione, mettendo al servizio della causa straordinari matematici, astronomi, tecnici e teorici delle scienze applicate, anche perché il mare continuava ad essere avido di vite e bastimenti carichi di ogni tipo di merce e le enormi perdite giustificavano ampiamente gli impegni e gli sforzi profusi.
La lettura del cielo
Il cielo non è un libro di semplice lettura. Le stelle fisse, non sono fisse! Seguono la rotazione terrestre giornaliera e l’alternarsi delle stagioni. La luna e i pianeti, manifestano altre numerose irregolarità, rendendo questi punti di riferimento celesti, ancor meno sicuri delle stelle fisse, così come pure il sole che si muove costantemente e se pur riferimento in alcuni momenti della giornata, non può essere certo preso come bussola se non con l’approssimazione di molte decine di gradi, rendendolo di fatto inutile nelle navigazioni d’altura.
Si deve inoltre considerare con quali mezzi si facevano le osservazioni. Per tutta l’antichità queste venivano praticate quasi senza ausilio strumentale, un pugno, un palmo di una mano lungo un braccio teso erano gli strumenti di misura degli antichi navigatori, gli unici che disponevano oltre al sesto senso marinaresco, l’esperienza accumulata e la conoscenza delle acque nelle quali navigavano. Nel tempo furono inventati rudimentali strumenti di rilevazione, ma la precisione non era minimamente paragonabile ai nostri canoni attuali. Bisognava combattere inoltre contro la precarietà delle osservazioni effettuate dal ponte traballante delle imbarcazioni e con la mancanza di uno strumento di misurazione del tempo, elemento indispensabile per valutare la posizione e il moto continuo degli astri.
Il sestante moderno ha avuto molti predecessori basati sul medesimo principio. Abbandonati i sistemi basati sul filo a piombo di passò alle aste graduate, il cosiddetto “Bastone di Giacobbe” o “balestra”, uno strumento formato da un’asta graduata ed un bastone scorrevole su di essa che misura la distanza tra l’orizzonte e l’astro. Iniziato ad essere utilizzato per mare a partire dal 1400, inizio dalla navigazione astronomica moderna. Una piccola modifica nell’utilizzo consentì agli osservatori di non bruciarsi gli occhi: il Bastone di Giacobbe fu utilizzato al contrario, traguardando non il sole, ma la sua ombra sull’asta e alla fine del 1500 la sua evoluzione, il “quadrante di Davis” fu utilizzato per la sua precisione e facilità d’uso fino al ’700 quando già erano stati perfezionati strumenti molto più evoluti come l’ottante e il sestante.
La strumentazione astronomica marina fece un significativo passo avanti nel 1666 per merito di Robert Hooke che introdusse lo specchio rotante per fare delle osservazioni. Tuttavia, non applicando il secondo specchio non sfruttò al meglio la grande proprietà degli strumenti che seguirono. Infatti con due specchi una volta catturata l’immagine dell’astro, questa resta facilmente nell’inquadratura consentendo di effettuare più comodamente la rilevazione; con un solo specchio invece l’immagine sfugge e non consente rilevamenti se non da piattaforme stabili. Motivo per cui, probabilmente lo strumento di Hooke non fu mai usato in mare.
Segue la nascita dell’ottante e con questo siamo alle porte della moderna rilevazione delle altezze. La sua nascita vede l’uso di due specchi, uno rotante e l’altro fisso, e, paradossalmente, il suo utilizzo pone il problema della grande precisione delle rilevazioni effettuate, che si spinge fino al primo di grado. Tale precisione non consente più di trascurare la rifrazione atmosferica e di tutti gli altri elementi di correzione che fino ad allora erano stati considerati trascurabili, come ad esempio l’altezza dell’occhio dell’osservatore.
Dall’ottante (un ottavo di 360°) si passò al sestante (un sesto di 360°) per consentire la lettura sul lembo graduato di distanze angolari maggiori e un più agevole rilevamento delle distanze lunari, metodo allora molto utilizzato per il punto nave, (in particolare permette di ottenere l’ora esatta, elemento indispensabile per il punto nave astronomico).
Esperienza, osservazione ed elaborazione teorica dei moti degli astri, avanzamento tecnologico della strumentazione per il rilevamento degli astri e per la misurazione del tempo furono quindi compiute soltanto nel corso del 1700.
In particolare una criticità nella definizione del punto nave è stata riuscire a risolvere il problema del tempo e quindi della longitudine.
Il problema dell’ora esatta
Il sestante e altri strumenti potevano aiutare a leggere con sufficiente semplicità la latitudine, ma il calcolo della longitudine era un’altro affare, molto più complicato. Per risolvere tale enigma, il parlamento inglese, nel 1714, emanò un bando, il “longitude act”. Il bando stabiliva un premio progressivamente crescente da 10.000 a 20.000 sterline a chi avesse elaborato un metodo per il calcolo della longitudine con uno scarto compreso tra un grado (10.000 sterline) e mezzo grado (20.000 sterline). Considerando che un grado di longitudine sull’equatore significa uno scarto di 60 miglia nautiche (poco più di 110 km terrestri) il margine di errore concesso al calcolo della longitudine era notevole. Ciò la dice lunga sul livello di “smarrimento di un’intera nazione per il deplorevole stato della sua navigazione”. Determinante per la soluzione del nodo e quindi per la sicurezza della navigazione fu l’invenzione del cronometro marino ad opera di John Harrison, con la sua serie degli orologi H-1, H-2, H-3 e infine H-4, precursori di tutti i successivi cronometri marini moderni. Tutta la storia è raccontata mirabilmente nel libro “Longitudine” della divulgatrice scientifica Dava Sobel e a tutti ne è consigliata la lettura.
Attraverso la costruzione di orologi marini affidabili, non soggetti alle discontinuità dovute a beccheggio e rollio della nave, né tanto meno alle condizioni di temperatura, umidità e salinità che ne alterano i meccanismi interni, fu possibile giungere ad un metodo estremamente affidabile per fare il punto nave dal lato della longitudine, che per sua natura non può essere determinata se non all’interno di un quadro di riferimento preciso, e convenzionalmente stabilito come quello di un sistema orario globale.
È in questo momento, con l’accresciuta complessità richiesta per il punto nave e con l’aumento e la complessità delle navi e delle loro attrezzature, che si ridefiniscono anche i ruoli di bordo. I compiti del comandante cambiano e diventano sempre più legati alla definizione dei piani di navigazione e dei complessi calcoli per definire il punto nave. Accanto al comandante abbiamo il secondo ufficiale, col compito di sostituire il comandante in caso di necessità, e il pilota al quale veniva affidata la responsabilità della navigazione. Di seguito abbiamo il Nostromo, capo dell’equipaggio e responsabile della manutenzione; poi il Nocchiero col compito di governare la nave e che affidava il timone al timoniere che normalmente era un marinaio analfabeta (come gran parte dei timonieri di oggi!). Seguiva la ciurma, sempre più numerosa a causa del costante aumento delle dimensioni e della complessità delle navi a vela.
Tale suddivisione dei compiti e delle responsabilità era indispensabile in un epoca di sempre maggiore complessità, laddove la definizione del punto nave e la conduzione del veliero diventano attività sempre più specialistiche che richiedono conoscente teoriche e pratiche di assoluto rilievo.
La navigazione moderna
Alla fine del 1700 il corredo di strumenti per la navigazione astronomica era completo. Nel 1843 esce a Boston un libretto che diede inizio ad una nuova fase nei metodi per fare il punto. Veniva descritta una scoperta, avvenuta casualmente nella manica, che permise di semplificare la procedura di calcolo, dimostrando che era sufficiente una sola osservazione celeste e un buon punto stimato per posizionare la nave sulla mappa. La scoperta di questo metodo di deve ad un giovane comandante, il capitano Thomas Sumner (1807-1876) che per primo la sperimentò per via pratica.
La sua teorizzazione e sistematizzazione si deve al comandante francese Marc de St. Hilaire, il quale mise a punto un metodo rivoluzionario per la definizione del punto detto metodo del triangolo sferico di posizione i cui vertici sono il polo celeste, lo zenith dell’osservatore e la posizione dell’astro.
Tale metodo fu considerato un’enorme semplificazione; siamo tra il 1873 e il 1875.
Il passo risolutivo per un’ulteriore semplificazione avvenne qualche tempo dopo, tra il 1936 e il 1946, con la pubblicazione n° 214 da parte dell’U.S. Hidrographic Office, in cui si tabulavano tutti i possibili triangoli sferici per ogni mezzo grado di latitudine con le relative interpolazioni. Dette tavole semplificavano il calcolo del punto nave rendendolo, semplice, veloce e accessibile alla sempre più vasta platea di ufficiali, anche digiuni di trigonometria, che incrociavano le rotte di tutto il globo.
Tradotte dall’Istituto Idrografico della Marina col nome di Tavole a soluzione diretta per il calcolo delle rette d’altezza negli anni 50, sono giunte fino a noi che ne facciamo ancora uso per il nostro punto nave astronomico.
Ma dopo pochi anni, proprio quando la metodologia del punto nave aveva raggiunto il più alto grado di affidabilità e semplicità, arrivarono prima il Loran C e poi il GPS.
Quest’ultimo in particolare ha reso il punto nave una questione di una semplicità inimmaginabile solo mezzo secolo prima. Il punto nave viene fornito pigiando un tasto, con l’unico sforzo della pressione di un dito. La sua diffusione tra i diportisti, che il Loran C non ha mai neanche lontamente raggiunto, ha reso il punto nave semplice e “a prova di analfabeta”.
Il GPS e le sue applicazioni hanno elevato il livello di sicurezza delle nostre navigazioni, spedendo velocemente carte nautiche, squadrette nei cassetti del dimenticatoio e i sestanti sulle mensole dei caminetti!